2035-2001. Viaggio verso il Tempo perduto

2035-2001. Viaggio verso il Tempo perduto

Di questa fantastica storia sono autori: i 47 bambine e bambine della Scuola Lorenzo Milani di Potenza Quarto, i genitori e gli insegnanti che hanno vissuto il laboratorio di costruzione della storia, mentre si navigava a capasotta

Sembra che non finisca questa lunga notte d'inverno. Sembra che tardi il sole, come fosse in pericolo. Ma io… Voglio guardare lontano. Io voglio l’azzurro per me! (Franco Battiato, Lontananze d’Azzurro)

Il gatto è seduto da un’ora sulla gradinata del palazzo

Non si muove di un millimetro. Che cosa starà osservando?

Come al solito non succede niente: nulla di nulla.

Sto per tornare alla scrivania, quando sento uno strano flach-flach: la signora che abita di fronte sta stendendo le lenzuola! È un buon segno, dopo giorni di neve e gelo!

Come facciamo a chiamarla Primavera questa? è il 21 marzo e Potenza si è svegliata coperta di neve.

Falsa: sei falsa, Primavera! Sei come quelle promesse a cena: <<Mangia gli spinaci… che ti crescono i muscoli>>. Poi mi sveglio… E non è cambiato niente.

Ti chiamerò Prima-Falsa, non puoi essere la Vera-Prima-Vera. Non mi prendi in giro! Sei falsa, o forse… non ti senti tanto bene? Forse anche tu, Primavera, ti sei ammalata?

Un vecchio con un cappello attraversa la strada. Si vede che pensa a qualcosa perché, mentre cammina e guarda giù, ma non a terra. Mi ricorda qualcuno.

Ha fatto così freddo in questi giorni di Falsa-Primavera, che neanche mi ero accorto che lì, sulla facciata di quella casa, hanno finito il dipinto di San Gennaro: dicono che è il protettore del popolo, una specie di supereroe per noi.

Ci vorrebbe proprio un Superpotere per uscire da questo lungo inverno.

Ecco: come se non bastasse, sbuca, da non so dove, uno schifo di ragno peloso. Sembra fatto apposta per me! Se mi affaccio alla finestra, ta-tàh!, un ragno. Proprio a me, che sono un araccofo… un arattinofo… insomma sono un “ragnofobico”!

Oh guarda: c’è un falco che attraversa il cielo, verso le montagne, forse ha fatto i falchetti! Un altro bel segno.

E, nel giardino innevato, ecco là un albero, in mezzo alle cento piante di mamma, che ha tutti i rami pieni di fiori rosa.

Sento gli uccellini che cinguettano e uno, là in fondo, sta beccando le briciole da terra. Ecco chi sta fissando il gatto!!

– Gelsi, fiori di zucca, fichi….; cime di rapa, fagioli… cose buone della terra…

La voce di Francesco ‘U Paisan che puntuale, ogni venerdì, arriva con la sua ape bianca nel rione, riportò Caroto, e i suoi pensieri, dentro la cucina di casa sua.

<<Basta fantasticare, è ora di tornare nel Presente, Caroto: sei nel 2035!>>, si disse il ragazzo.

<<Sono le quattro passate e ancora il nonno non arriva. E questo è molto strano>>, pensava Caroto, perché Nonno Ciaccione è il più puntuale di tutto il quartiere: ha la mania del tempo lui, è uno che spacca il secondo.

Caroto guardò l’orologio che aveva al polso: nuovo nuovo, glielo aveva regalato proprio il nonno, qualche giorno prima, al suo undicesimo compleanno. Era un orologio strano, con dei pulsanti intorno al quadrante che non capiva a cosa servissero. Era stato il nonno in persona a modificarlo così: gli disse che era una tradizione di famiglia: suo nonno lo aveva regalato a lui, al suo undicesimo compleanno, e così era accaduto al nonno del nonno. Ogni volta però l’orologio veniva “modernizzato”.

Che poi Caroto pensava che ormai nel 2035 gli orologi non servissero più, che l’ora si poteva guardare anche dallo smartphone:

E no, fai attenzione bello mio! – lo corresse quel giorno il nonno – Non si sa mai: metti di trovarti in un posto… chessò …in cui non ci sono telefoni, come fai? Non-si-sa-mai.

Ma intanto il tempo passava e il nonno non arrivava: dovevano andare insieme a vedere gli allenamenti del Potenza Calcio, glielo aveva promesso!

Caroto si affacciò di nuovo alla finestra e…

Ma com’è sta cosa? – gridò, come se qualcuno potesse rispondergli: ma era solo! Mamma e Papi erano usciti con Rebba, la sua sorellina, che quel venerdì partecipava alle selezioni per entrare nella squadra di calcetto femminile.

Com’è sta cosa? – ripetè Caroto: L’albero pieno di fiori rosa, in mezzo alla neve e alle cento piante di mamma, non c’era più!

Da un po’ di tempo, al Rione Cocuzzo-Serpentone, succedevano cose strane. La neve in primavera era niente al confronto: al rione le cose sparivano! Sì, come l’albero fiorito: da un momento all’altro. Cose piccole e grandi, piante, pali della strada e forse… pure persone!

E il bello – si fa per dire “bello” – era che di questo si accorgevano solo i bambini; i genitori cercavano sempre “la spiegazione logica”: Vedrai che che l’albero lo avrà tagliato il vicino per dispetto – dirà la Mamma – oppure è caduto da solo… con questo vento.

<<Seh, vabbè>>, pensava il ragazzo.

Ma…

Caroto non fece in tempo ad alzare gli occhi, che si sentì bloccato come una statua: in lontananza il maggiolone color zabaione del nonno era fermo all’inizio di via Tirreno. Fermo, perché davanti non c’era più la strada!

Ma com’è sta cosa? – gridò di nuovo Caroto, che era solo in casa e… E che doveva fare? Il nonno era lì in difficoltà, con la strada che gli scompariva sotto le ruote. E così, scese di corsa le scale del palazzo e lo raggiunse, saltellando da un muretto all’altro di una costruzione di cemento grande e grossa che chiamavano “Nave”, anche se non c’era né il mare, né lo spazio cosmico sotto di lei per farla muovere.

Caroto in un minuto fu dal nonno:

Sei sempre stato un fulmine – sorrise il vecchio Ciaccione.

Che succede Nonno?

Non lo so, ma ho un presentimento.

Ciaccione raccontò al nipote che, tanti anni fa, aveva commesso un grosso sbaglio, “il Grosso Sbaglio”.

Non era sicuro che ci fosse un nesso tra la sparizione delle cose e quel suo errore del passato, ma proprio quel giorno, mentre cercava un articolo di politica tra i suoi ritagli di giornale, aveva trovato una vecchia foto di famiglia: c’era un prato e c’erano i suoi figli. Avevano più o meno l’età di Caroto e giocavano, ma da soli. Anche Ciaccione era ritratto nella foto., Era seduto su una panchina, tutti i capelli neri e anche lui da solo: accanto a lui, un fascio di giornali e, all’orecchio, il telefonino. Dalla foto si capiva che non si era neanche accorto che qualcuno lo stava fotografando, tanto era preso dalla telefonata.

Anche ora, nel 2035, Ciaccione ne aveva visti di bambini come quelli della foto, a giocare da soli sul prato, accanto alla Nave. I genitori erano lì, ma nessuno di loro giocava con i figli: erano tutti al telefono!

<<Quanto tempo perduto>>, pensava Nonno Ciaccione. Mentre li guardava si rese conto che anche lui, quando era un papà, si era fatto rubare il tempo importante, quello che avrebbe dovuto trascorrere insieme ai suoi cari, ascoltandoli.

Ora però lo sbaglio non era più solo il suo. E questo era davvero un grande disastro!

Caroto, dobbiamo tornare indietro e sistemare le cose.

Indietro dove, nonno?

Indietro nel Tempo.

Per qualche secondo Caroto sentì la faccia bloccata, come quando in videochiamata ti saluta la connessione.

Caroto? L’orologio!

L’orologio? – ripetè stupito il ragazzo – Nonno, che cosa  c’entra mo l’orologio?

Premi i tasti, quelli intorno al quadrante: 2 – 0 …

2 – 0… Caroto faceva, ma gli sembrava che il nonno lo stesse prendendo in giro;

0…

– Di nuovo?

– sorrise il nonno – Di nuovo zero e poi 1

2 – 0 – 0 – 1

L’auto del nonno fece uno strano rumore, come quello di un frullatore: la strada sotto le ruote si fece carta velina.

Nonno, svelto, che qua cadiamo!

Caroto come un fulmine saltò fuori dal maggiolone color zabaione e il nonno, un po’ a fatica, lo seguì.

Andiamo alla Scala Mobile, picciri’!

Caroto, tenendo il nonno per mano, entrò di corsa nella galleria che portava alla Grande Scala Mobile, che collegava la zona del Cocuzzo-Serpentone al centro storico di Potenza. Ci entrarono e, mentre viaggiavano sul nastro, il ragazzo guardò giù e vide che anche la scala mobile e la galleria stavano scomparendo, centimetro dopo centimetro!

Hai premuto Star-T? – chiese Ciaccione, che non sembrava tanto preoccupato: – Il tasto a forma di stella!

Caroto pigiò la stellina con sul quadrante del suo orologio, il tasto aveva al centro una T,  e…

E intorno a lui tutto diventò come nei film di avventure nello spazio: un corridoio di stelle, e si sentivano musica e risate di bambini.

Arrivarono a una porta: di colore azzurro chiarissimo, quasi bianco, con una grossa T dorata disegnata sopra. Ciaccione aprì e i due si trovarono in un’immensa, bianchissima, spaziosa Biblioteca.

<<Benvenuti nel Futuro>> c’era scritto su un grande totem di cartone.

È questo il futuro, Nonno?

No, Caroto, siamo nel Tempo Passato – disse il vecchio, e aveva gli occhi lucidi mentre con un dito sfiorava la prima pagina di un quotidiano poggiato su una poltroncina verde. – Tu non eri ancora nato, bello mio: questo è il 2001.

Allora,

2035 meno 2001… cinque meno uno 4, tre meno zero… 34 anni?!

– Ma nonno, se siamo nel 2001, la Mamma quanti anni ha?

– Ne ha 11, come te.

Caroto si sentì un formicolio intorno alla testa e sotto i piedi, forse stava per svenire, ma non cascava per terra come nei film: stava lì in piedi, con la bocca allappata.

– E io non ero ancora un Nonno – sorrise Ciaccione: – avevo 44 anni e due figli, belli, quasi quanto te e tua sorella.

L’idea che la Mamma potesse essere una sua coetanea non lo divertiva per niente. Caroto sperò di non incontrarla: <<Tanto – pensò – è sempre troppo impegnata per venire in Biblioteca>>

Cominciò a guardarsi intorno. Però, era proprio grande quel posto: finestre larghe come pareti, tantissimi scaffali, pieni di libri e giornali di tutte le epoche. E poi scale, belle! Tutte bianche anche quelle.

All’ingresso, c’erano quattro cartelli, come quelli stradali, soltanto che erano a forma di stella e con le scritte dorate; e i pali che reggevano i cartelli somigliavano a dei rami d’albero:

Freccia in alto: Stanza della Storia Locale

Freccia a destra: Sala dei grandi Discorsi

Freccia a sinistra: Porta del Tempo

Freccia in avanti: Spazio della Fantastica

Nonno, cos’è la Fantastica?

Più facile da fare che da spiegare – disse Ciaccione mentre pigiava il tasto blu di un ascensore – è una cosa preziosa che abbiamo tutti quanti, anche se spesso ce ne dimentichiamo. Funziona come una scintilla: il fuoco della fantasia si accende anche se sei da solo; ma, se sei in compagnia, in un attimo, quest’ascensore qua diventa un razzo e ti ritrovi tra le stelle a guardare la Terra da lontano.

– E allora ci possiamo giocare in Biblioteca, nonno?

E certo, i bambini possono insegnarla ai grandi la regola più importante del gioco: “Metti il mondo a capasotto!”

L’ascensore cominciò a salire…

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Era meglio se i telefonini non esistevano proprio.

Una ragazzina, con i capelli corti e una luce di stelle negli occhi, era seduta su un muretto, vicino al campo sportivo della scuola. Anche altri ragazzi erano seduti, in cerchio insieme a lei: saranno stati dodici o tredici, la maggior parte della sua età, gli altri erano i fratelli più piccoli e le sorelle.

La Prima Media stava per finire e la primavera invogliava a togliersi le scarpe e a buttarsi sull’erba.

La ragazzina con gli occhi di stelle si faceva chiamare con un soprannome strano: Nessuno Tuttofare.

I suoi amici la chiamavano così perché lei diceva che l’Odissea, se fosse stata scritta nel 2001, poteva essere un’avventura nello spazio e che Ulisse poteva essere anche una ragazza, perché no? Una ragazza che sconfiggeva il gigante mangia-persone: <<Di’ a tutti che mi chiamo Nessuno!>>.

Tuttofare, invece, perché non stava mai ferma, né con le mani, né con la testa: pensava, faceva, inventava, disfava, e si lamentava: <<Non ce la faccio più!>>; ma poi ricominciava: <<Ce la posso fare, ce la devo fare>>.

– Dobbiamo trovare una soluzione, non ci arrivo al 2002 con questa noia! – Disse la ragazzina.

In quel momento si avvicinò ai ragazzi un vecchio signore, piccolo di statura e con uno strano cappello in testa, fatto con tessuti attorcigliati e di molti colori.

Tutti lo salutarono, perché lo conoscevano bene: era il padrone di un negozietto di cose antiche, si trovava nel centro storico di Potenza. C’era di tutto lì dentro, cose di ogni tipo, tele dipinte, carte geografiche; qualche volta sbucavano, da scatole e sacchetti, oggetti mai visti prima.

A un certo punto, a una bambina di Quinta si illuminò lo sguardo:

– Nessu’, forse Mario u’ Mercand’ ci può aiutare.

Il gruppo di ragazzini strinse il cerchio e cominciò a bisbigliare cose. Per qualche secondo. Poi la piccola Nessuno Tuttofare si alzò in piedi e fece la proposta al Mercante.

Mario u’ Mercand’ non parlava mai, non si sa se per scelta o perché la voce gli mancava proprio. Però ai bambini andava bene così, era gentile e si fidavano di lui.

Questi dodici o tredici ragazzini avevano avuto tante volte il permesso di frugare negli scatoloni accatastati nel magazzino, in cui nemmeno Mario sapeva più cosa ci fosse. Nessuno di loro aveva mai dovuto pregarlo e nemmeno pagarlo per portarsi a casa qualche oggetto sconosciuto e meraviglioso: come certe palline di vetro pieno, che se cadevano non si rompevano, o degli animaletti di latta che muovevano le zampette dopo aver girato una chiavetta attaccata sotto le loro pance col nastro adesivo.

Stavolta però a Mario avevano chiesto una cosa… complicata: doveva trovare nel negozio una scatola magica, un marchingegno, capace di far sparire tutti i telefoni dalle mani dei genitori.

U Mencand’, come sempre, non parlò; ma gli occhi avevano perso quella piega agli angoli che lo facevano sembrare sempre sorridente. Fece segno con le dita indice e pollice, come a dire che di quel tipo di oggetti non ce n’erano nel negozio.

– Qualcosa nel magazzino che nemmeno ti ricordi secondo noi c’è – disse un bambino con una lunga collana di fiori di stoffa appesa al collo.

Mario chiuse gli occhi per pensare meglio; poi sfregò pollice e indice, come a dire che, questa volta, servivano i soldi per comprare materiali speciali e che lui li aveva quei soldi.

Di nuovo il gruppo di ragazzini strinse il cerchio e cominciò a cicaleggiare; una bambina si staccò all’improvviso emettendo un gridolino acutissimo, ma un altro, svelto,  la riportò nel cerchio.

– Vabbé Mario, non ti preoccupare, li troviamo noi i soldi.

Nessuno Tuttofare sembrava una condottiera a cavallo pronta per la battaglia, peccato per il cavallo che non c’era e che, per sbrigarsi mo’, bisognava accontentarsi di immaginarlo.

In pochi secondi il cerchio si sciolse: ognuno a casa sua.

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L’ascensore saliva

E Caroto non sapeva dove guardare prima, perché le pareti erano tutte di vetro. Meraviglia! Riconosceva Potenza, sembrava tutto uguale a prima, anzi a dopo: era lui che veniva dal futuro. Ma lì, in quella primavera del 2001, gli sembrava che, a Potenza, ci fosse qualcosa di più. Gli sembrava di sentire più calore e di vedere più colori. Intanto era Primavera pure lì, ma non c’era la neve: era proprio una Vera-Prima-Vera.

– Dove andiamo Nonno?

– Ora vedrai.

L’ascensore si aprì e Caroto, ancora una volta, non sapeva dove guardare prima. Perché lo spazio di quella sala era enorme, non se ne vedeva la fine. E le pareti erano tutte fatte di libri, fin sopra al soffitto.

Sul totem all’ingresso c’era scritto:

Stanza della Storia Locale

– In storia sono meno bravo Nonno, era meglio se andavamo nello spazio della Fant…

– Chiudi gli occhi, Caroto, e cerca un libro.

– Ma come chiudi gli occhi?

Ciaccione cominciò a muoversi a occhi chiusi nella sala, si avvicinò a una parete di piena di libri, e cominciò ad annusare: ne prese uno. Poi continuò a cercare, sempre senza vedere dove andasse.

Caroto invece gli occhi li teneva sgranati, aspettava che il nonno gli dicesse che era uno scherzo. Ma Ciaccione continuava serissimamente e allora: <<Pazienza>>, chiuse gli occhi anche lui, sperando di non inciampare in qualcosa.

– Scegli un libro – disse il nonno mentre tastava una parete piena di libri con le decorazioni dorate – ma non con gli occhi: sentine il calore, la morbidezza, l’odore, il suono…

<<Seh, e pure il sapore>>, stava per dire Caroto…

– Senti che gusto ha – lo anticipò il nonno.

Caroto sospirò di nuovo e cominciò a cercare: <<Vorrei – pensò – un libro che odora di tulipani di primavera, accarezzati dalla brezza del mare, di cioccolato e… di vacanze>>. E le dita gli si posarono su un libro, lo guardò: Il mare in una rima.

Non disse nulla perché vide che il nonno continuava a cercar libri senza aspettarlo: ora ne posava uno sul tavolo; al ragazzo sembrò che da quel libro si sprigionasse una luce, piccola, come il flash di una foto. Si intitolava I racconti di Energheia.

Caroto, di nuovo, chiuse gli occhi e continuò: <<Questa volta – pensò – cercherò un libro… dal suo suono!>>.

Decise di trovare un libro che faceva sentire <<il cinguettio degli uccelli, ma anche di una trombetta da stadio e di una macchina con il tetto scoperto, che va verso il mare…>>, e le sue mani toccarono un libro: Squali! Mostri a babordo.

Allungò il collo per vedere che cosa il nonno aveva lasciato sul tavolo: Il manuale del cuoco e della cuciniera.

– Nonno, la carta di quel libro è più gialla dei ritagli di giornale dell’altro secolo che conservi tu! – E rise.

Il nonno gli mostrò l’interno della copertina: “Finito di stampare nel 1829”.

Il gioco stava diventando interessante e questa volta Caroto continuò, ma con il tatto:

<<Batuffoloso, soffice, come un cuscino peloso, freddo, e riscaldato dal sole>>. A occhi chiusi, lentamente si sentì chiamato da un altro volumetto che vibrava: Il gatto Martino. Un libro che fa le fusa, chi se lo immaginava!

Ciaccione intanto aveva preso da uno scaffale pieno di libri immensi, un librone bianco, con la copertina rigonfia e morbida, come se fosse riempita di nuvole: Segni migranti era il titolo.

– Sai come si leggono i libri, Caroto?

Il ragazzo non aveva mai visto suo Nonno così misterioso, questa cosa del viaggio nel tempo gli aveva dato un aspetto diverso: era abbronzato ed elegante come sempre, ma aveva un modo di muoversi e di parlare che lo facevano sembrare più… luminoso.

– E nonno, e come si leggono?! Lo apri e leggi: pagina uno e vai avanti, fino all’ultima.

– Sei sicuro?

Caroto cominciò a rifletterci, a vedersi in tutti i momenti in cui prendeva un libro e leggeva:

Con gli occhi, con la mente, con le mani; con felicità, con serietà, con la fantasia; con la bocca, da destra a sinistra e da sinistra a destra; stesi sulla spiaggia, al contrario, a testa in giù; attentamente, avventurandosi nel mondo, a immergersi, con curiosità…

Caroto aveva mille altri modi di leggere i libri; si ricordò di quando si divertiva a mischiarli, a costruire frasi usando solo i titoli sui dorsetti, ad accostarli per colore. Faceva le torri con i libri e ci faceva salire il gatto, in cima, per incoronarlo.

Il nonno intanto aveva messo insieme tutti quelli da cui si erano sentiti “chiamare” e cominciò a leggere la prima e l’ultima parola di ogni libro: – In queste parole troveremo la chiave – disse, e con un dito indicò al nipote un disegno che si poteva vedere, nelle pareti della libreria, con i vuoti creati dai libri scelti.

Ciaccione gli rivelò il Grande Segreto, che, da nonno a nipote, nella loro famiglia, si tramandavano da secoli:

Esiste un Mare Oltretempo,

In cui Passato, Presente e Futuro convivono.

La mappa per navigarci si trova nei libri.

Le navi sono dappertutto,

dovunque ci siano dei libri,

dovunque ci sia una ciurma

pronta a mettersi in viaggio.

Caroto non smetteva più di stupirsi: aveva capito ormai che tutto poteva accadere, o non accadere. E ciò che succederà, forse da qualche parte, in una pagina di un libro, è già stato vissuto. Certo, dove c’era la parola Mare, pensò, c’era sicuramente da divertirsi. 

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Dove andiamoooo?

– Non lo so. Corriamo!

– Via, viaa!!

Fuori dalla Biblioteca Nessuno Tuttofare e i suoi amici correvano come matti: i genitori li stavano inseguendo e, dalle facce, non sembrava che avessero buone intenzioni.

Era successo l’incredibile, soltanto qualche ora prima: il marchingegno aveva funzionato!

Nel negozio di Mario ‘U Mercand’ avevano trovato un oggetto che, era sì un telefono, ma con una forma molto buffa: somigliava a una doccia montata sopra a un comodino. Era di legno e aveva una manovella per ricaricarlo. Per fare il numero, dovevi infilare le dita in una serie di buchi che stavano tutt’intorno a un disco girevole.

All’interno del doccia/telefono, i ragazzi avevano versato un liquido gelatinoso blu, simile al sapone per i piatti, ma costosissimo; per comprarlo, i bambini più piccoli avevano “preso in prestito” dai genitori (a loro insaputa) tutti i soldi trovati nei loro portafogli. La gelatina blu proveniva da un laboratorio di esperimenti scientifici top-secret che solo il signor Mario sapeva dov’era.

Ecco come funzionava: bastava girare una quindicina di volte, a quattro mani, la manovella, agitare energicamente la cornetta del telefono e puntarla con decisione verso il telefonino dei genitori. Si poteva lavorare in sicurezza, da una distanza di anche dieci metri. Infatti la macchina produceva ogni volta una bolla trasparente, come quelle di sapone, ma dura e resistenti, impossibile da rompere. La bolla, in un nanosecondo, catturava al suo interno il telefonino e poi volava via nell’aere. Nessuno capiva dove il telefonino andasse a finire. Nemmeno i loro inventori.

Fu una sparizione di massa dei telefonini che, nel giro di poche ore, gettò gli adulti nel panico, perché all’inizio pensarono a uno smarrimento. Poi, vedendo che erano stati in tanti ad aver avuto la stessa malasorte, sospettarono un maxi furto, un’azione di banditi ignobili, capeggiati da un Arsenio Lupin uguale a quello dei cartoni animati, sottile uguale, ma più perfido.

– Che fine hanno fatto i telefonini? – si chiedevano l’un l’altro.

– E che fine hanno fatto i miei soldi?!

– Noh! Anche a te hanno svuotato il portafogli?

– Anche a noi! Ma com’è sta cosa?

– E voi bambini perché ve la ridete tanto, non capite quant’è grave la situazione?

Non passò molto che una bambina di quinta, con un fermaglio rosso tra i capelli, si fece avanti e rivendicò fieramente l’azione compiuta insieme ai compagni.

Fu un boato. Coloratissimo. Strombazzante. Una reazione a catena di messinpunizione, che altro non provocò, tra i ragazzini, che un secondo piano d’attacco.

Dalle finestre dei palazzi del Serpentone, ragazzi e ragazze cominciarono a lanciarsi i segnali segreti speciali: un codice di emergenza, con il sole riflesso negli specchietti. Alle 14.45 il luccichio più abbagliante: era il segnale della partenza. Era l’ora del sonnellino in cui precipitavano sempre tutte le mamme e i papà, dopo pranzo, soprattutto in Primavera.

Bisogna essere lesti e silenziosi come i gatti, per uscire di casa senza che nessuno se ne accorga. Peccato però che anche i felini più abili a volte, nella foga del gioco, non si accorgano di un bicchiere o di un vaso che scivola a terra, proprio quando la traiettoria del salto sembra segnata al millesimo di millimetro. Così accadde, e proprio al Capo: la piccola astuta Nessuno Tuttofare urtò con lo zainetto il vaso di tulipani freschi trionfante della Zia Vallì, che la mamma aveva esposto quella mattina al centro della mensolina dell’ingresso. La bambina chiuse di corsa la porta e, in tutto quel fracasso, peggio del peggior Perepepè, i suoi genitori schizzarono in piedi dalle poltrone.

– Chi è stato? – esclamò la mamma raccogliendo vetri e tulipani. Oddio… la Zia Vallì… E chi la sente il prossimo Natale. Poveri noi!

– Nessuno! – gridò il papà spaventatissimo dal Ritorno funesto della Zia Valli, che nel frattempo aveva scoperto la fuga (la Zia Vallì era temutissima. Tutto il Quartiere la conosceva per la voce da antifurto scassato).

Per tutto il Serpentone si videro decine di uomini e donne uscire dai portoni, non avevano più i telefonini per avvisarsi gli uni con gli altri e così cominciarono a citofonarsi, a bussare alle porte di casa o a parlarsi da una verandina all’altra: che molti di loro abitavano con le case attaccate, ma se ne erano ormai dimenticati.

Si riunirono così per la prima volta, nello spiazzo sotto via Tirreno, vicino alla cartoleria, per consultarsi su dove andare a recuperare i figli. Non avevano idea di dove fossero scappati, finché non videro una signora che saltellava lanciando urletti acuti. Subito dopo, una bolla lucida si librò in cielo, grossa come una boccia per i pesci, con dentro un telefono cellulare ancora accesso.

– Sono sicuramente andati da quella parte! – gridò trionfante una mamma con i bigodini giganti gialli per la messinpiega ancora in testa.

E lo schieramento scomposto di madri e padri si mise in marcia.

Nascondiamoci lì dentro!

– In Biblioteca?

– Sì nella Torre Bianca. Non verranno mai a cercarci lì dentro.

I ragazzini, compatti, si misero a correre più in fretta che potevano, che le mamme e i papà erano già su Via Ionio.

I figli non fecero in tempo a varcare il portone della Biblioteca che si videro comparire dal nulla Mario ‘U Mercand’. Con la solita piega del sorriso negli occhi, aprì davanti a loro un sacchetto rosso e…

In un tempo breve quanto un baleno o al massimo un arcobaleno, i ragazzini sparirono, come risucchiati da un buco nero.

I genitori arrivarono respirando affannosamente. I bigodini giganti erano diventati paonazzi. Anche loro erano sicuri di aver visto i fuggiaschi, soltanto un attimo prima, proprio lì, all’ingresso della Biblioteca, e pensarono che l’unica doveva essere quella: entrarci.

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Guarda qui

Guarda qui cosa c’è nell’ultima pagina dell’ultimo libro che ci ha scelti! -, stavolta Ciccione si sorprese quanto il nipote.

Mio nonno aveva un orologio che mi avrebbe lasciato alla sua morte. Quando morì non mi lasciò niente. Mio nonno era un burlone.

A Ciaccione scappò una lacrima. Caroto la vide scivolare via, ma fece finta di nulla.

Caroto e Ciaccione continuarono a giocare leggendo i libri trovati. Nel tempo trascorso in biblioteca ne avevano messi insieme tanti: scelsero di cucire insieme la prima e l’ultima parola di ognuno.

Fermo – credo – scuole – morte – tesoro – orgoglioso – yoyò – gelido – stelle – giurare – àncora – ancòra – storie – giovani – sorrisi – mostri – sopravvissuti – musica – tutto scorre – energia – altri – manuale – fagioli – il gatto – personaggio – légami – legàmi – desiderio – libro – burlone

Ecco tutte le parole.

Ora, per fare una vera Serratura del Tempo, servivano gli anelli: Nonno e Nipote li crearono. Uno dopo l’altro. A turno. E questo fu:

Lègami

legàmi

Àncora

ancòra storie

delle scuole con energia.

Mi fermo

con il gatto orgoglioso.

Tutto scorre:

il tempo,

il libro gelido.

Giurare sorrisi e musica,

come stelle,

come personaggi,

fuoco,

mostri sopravvissuti

alla morte

di giovani yo-yo

con il manuale di fagioli

E altri

come desiderio

burlone.

Questo testo non ha alcun senso! – si mise a ridere Caroto – come farà a far girare la chiave? Come faremo ad aprire la nostra porta del Tempo? Come torneremo a casa, nel nostro tempo esatto?

Quando crei dei legami, il senso non viene sempre dall’insieme, ma dai mille significati nascosti in ogni pezzo, quando quello incontra o si scontra con gli altri pezzi fratelli, cambiando, per scelta o per errore.

– Ooottimo! – Caroto ora stava capendo ancora meno di prima.

Ciaccione allora srotolò un grande foglio bianco sul tavolo e scrisse la parola

FAGIOLI

Poi chiese al nipote di cancellare le lettere di troppo, per trovare dentro i Fagioli, un altro significato. Caroto guardò quella parola, senza provar gran piacere, perché in verità per lui i fagioli potevano non esserci proprio, né sui fogli, né nel suo piatto: poi… vide qualcosa, prese la gomma e fece sparire le due “I”:

FAGOL

– FA’ GOL – disse soddisfatto Caroto – nel senso… “segna un punto”.
Adesso, prova a cancellare la “L”!

FAGO

Per Caroto quella parola non significava nulla.

E allora il nonno sfilò, da una lunga serie di libroni tutti uguali, uno che aveva sul dorso la lettera “F”:

F… Fab… Faf… Ecco!

 FAGO: Nella lingua del Popolo guerriero degli Ifaluk, nelle Isole Caroline dell’Oceano Pacifico, Fago è un’emozione che mette insieme compassione, tristezza e amore. Il fago arriva nei momenti in cui il nostro amore per gli altri, e il loro bisogno di noi, ci prende alla sprovvista, quando la vita ci sembra tanto fragile e temporanea – che non possiamo fare altro se non commuoverci.

Caroto avrebbe anche continuato il gioco dei Fagioli, ma c’era qualcosa, in fondo alla sala, che attirava la sua attenzione: uno strano luccichio che arrivava da un libro, fermo lì ancora in mezzo agli altri, nel suo scaffale. Si avvicinò. Vedeva una luce ballerina, come quella prodotta dagli specchi quando incontrano un raggio di sole.

E fu allora, esattamente allora che si aprirono le porte dell’ascensore e ne uscì un gruppo numeroso di signore e signori sudati e spettinati.

Urlarono AAAAAAAAH! tutti in coro e poi, silenzio.

Caroto li guardò da lontano, dall’angolo della libreria in cui stava cercando la provenienza del luccichio, ma non si avvicinò: <<Meglio che con i grandi se la veda Nonno, che una volta è stato adulto anche un lui>>.

Ma Ciaccione questa volta non sorrideva. In silenzio andò incontro a uno dei papà. Dava l’impressione di conoscerlo molto bene.

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La mamma di Caroto era preoccupata

Si avvicinava la sera ormai e il figlio non era tornato a casa.

Ma a quest’ora gli allenamenti del Potenza Calcio sono finiti, o no, Papi?

Staranno facendo una passeggiata in campagna, lo sai com’è tuo padre, che è una vita che dice del suo sogno, no? Di voler tornare alla terra, a coltivare e bla bla…

– In campagna? – esclamò Rebba – Ma non è giusto, proprio oggi che sono usciti senza di me!

Mamma non ne era convinta, lei non ne parlava per non mettere in agitazione tutti, ma si era accorta della sparizione delle cose nel quartiere. E oggi, tornando a casa, aveva visto che l’albero fiorito in giardino non c’era più e che la strada che porta alla Nave era sparita, come se non ci fosse mai stata. Non voleva dirlo, ma lei si ricordava ancora bene com’è essere bambini.

Andiamo in Biblioteca – disse di getto.

– Bello! – esultò la piccola Rebba, che con Mamma non ci era mai andata.

Papi non rispose. Salutò frettolosamente con un cenno della testa e si accomodò sul divano: era occupato in una discussione in chat con i colleghi dello studio.

La Biblioteca era sempre bellissima, sembrava un’astronave, bianca e immensa. Rebba e la mamma entrarono.

C’era una gran pace, poche persone a leggere in giardino, un nonno insegnava a una bambina le regole degli scacchi, seduto nella sala dei giochi da tavolo. E poi le scale: a Rebba piacevano tanto quelle scale bianche!

Saliamo Ma’?

Al piano di sopra arrivarono però con l’ascensore di cristallo, che pure quello era un bel godere: tutta Potenza bianca per la neve, come la Biblioteca. <<La Primavera tarda ad arrivare>>, pensava la bambina.

Le porte dell’ascensore si aprirono e si illuminò un’insegna a forma di stella:

Bentornate nella Sala della Storia Locale

La Mamma cominciò a guardarsi intorno: sembrava che cercasse qualcosa di preciso.

Anche Rebba girava da un lato all’altro della Sala Bianca. Non sapeva dove fermarsi, poi, a un tratto, si sentì “chiamare”: in un punto della libreria si faceva sempre più forte un luccichio danzerino, come quello degli specchi. Si avvicinò per capire meglio cosa fosse; proveniva da uno scaffale in cui riposava un grande libro di avventure medievali.

All’improvviso, le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo; si sentì AAAAAAAAH!, poi silenzio. Ne uscirono dodici o tredici ragazzini, rossi in faccia e con le lacrime agli occhi, tanto si stavano divertendo.

Rebba li notò, ma le sembrava più interessante il libro di draghi e cavalieri che aveva trovato: la luce veniva da dentro. E stava per aprirlo.

Intanto Mamma sorrise e, piano piano, andò incontro ai nuovi arrivati: tra di loro c’era una ragazzina, di 11 anni, che lei conosceva bene.

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C’è una specie di inchiostro nero che abbiamo in circolo, è fatto di tutte le cose da dire che non sono state dette. Qualche volta trova una strada per uscire, si attorciglia in un foglio, in una nota sul telefono, nel messaggio che stavamo scrivendo; ma più spesso resta aggrappato dentro e stringe un nodo, rimane nascosto in qualche organo vitale.

Isabella Leardini

La Mamma di Caroto e Rebba ha ora ha davanti a sé la piccola Nessuno Tuttofare.

Mi sembra di sfogliare un album dei ricordi – disse emozionata la Mamma

Quella ragazzina di undici anni, avventurosa e caparbia, era lei, la se stessa, ancora bambina.

– Mi sembra di conoscerti, ma non credo di averti mai incontrata – rispose la ragazzina.

E invece sì, la Mamma e la se stessa bambina si guardarono negli occhi e cominciarono a dirsi molte cose. A ricordarsi di alcuni sogni messi da parte e soprattutto di quella voce che non aveva mai smesso di parlare:

Dalla bambina verso la mamma la voce riprese vigore:

Senti i messaggi che arrivano dal Passato.

Lascia stare tutto.

Fai tutt’altro. Vivi.

Divertiti un po’ e stai attenta.

Tratta bene i tuoi figli: stai con i tuoi figli.

Non perdere altro tempo a stare al telefono.  Si perde tempo sul divano. Divertiti. Senza tecnologia.

E dalla mamma alla se stessa bambina arrivò la voce del Futuro:

Divertiti più che puoi, non tornerà la tua spensieratezza.

Non essere così razionale: un po’ di meno.

Non è mai tutto perfetto, non è mai tutto a posto.

Non aspettare, quando c’è l’amore.

Mi costa dirlo: ma… devo dare ragione a mio marito.

Tu vai verso il mondo che ti circonda.

Scopri quello che ti sta intorno.

Vai oltre tutti i giorni, alla scoperta di quello che non c’è ancora.

Parla, quando senti di dire qualcosa.

Che le persone attorno ti vogliono bene.

Non aver paura di emozionare.

Nella Biblioteca del 2001, avveniva nello stesso momento, l’incontro tra Ciaccione nonno e il se stesso più giovane: era un papà, di 44 anni e davanti aveva un vecchio, magro e con gli occhi luminosi, di chi ha imparato a riparare le stelle.

Guardandosi, in piedi, l’uno di fronte all’altro, iniziarono a donarsi messaggi dai propri tempi:

Papà Ciaccione non poteva crederci: vedeva il se stesso al futuro e non riusciva più a smettere di fargli domande:

Cosa succederà nel futuro quando sarò grande?

Penserò fino in fondo alla mia famiglia?

Che vita avranno i nostri figli? Saranno felici?

Ho realizzato i miei sogni senza isolarmi da tutti?

Ho ancora sogni?

Sto bene? Il cuore regge? E il fegato? Ha tenuto?

Sono riuscito a essere sempre dinamico come ora?

Nonno Ciaccione, per il se stesso più giovane, fortunatamente aveva molte risposte (e qualche rimprovero…):

Cosa hai combinato!

Stai perdendo il tempo importante.

Se continui così, i tuoi figli diventeranno dei robot.

Non lasciarli soli.

Recupera il tempo. Non lasciarlo andare.

Ascolta il tuo cuore.

Rendi felice chi ami.

Vai per la tua strada: avrai un nipote fortissimo!

E sii sereno, che l’età più bella è quando sei nonno.

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Nelle due Biblioteche del 2001 e del 2035

Stava accadendo contemporaneamente qualcosa di inaspettato. Tutti alzarono gli occhi e si guardarono intorno: nella Sala della Storia Locale c’era una luce, sempre più forte e diffusa. Era generata dal libro che contemporaneamente, Rebba nel Futuro e Caroto nel Passato, avevano aperto.

Dentro il libro, c’era l’illustrazione di un drago che reggeva uno specchio: Caroto e Rebba, guardandoci dentro, vi avevano incontrato l’uno il volto dell’altra e ora sorridevano felici e si dicevano… le solite cose che ci si dice tra fratelli:

– Che fine hai fatto, dimmi subito dove sei stato con il nonno! …Rebba, ti insegnerò un sacco di giochi nuovi.

La Biblioteca cominciò a tremare, sembrava un terremoto. Si sollevò e cominciò a navigare nel tempo.

Era arrivato il Tempo, quello di tutti. Il Tempo di ritornare a casa, a prendersi ognuno più Cura dell’altro.

Più veloci di aquile i sogni

attraversano il mare

Franco Barriato, La Cura

E da allora…

La Primavera cominciò un po’ di tempo prima.

FINE. O forse è solo l’inizio

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Appunti per i prossimi viaggi

Durante il viaggio di ritorno, dal passato al futuro, una mattina piena di sole, grazie a un prodigioso attracco della Nave sul Cocuzzo al Porto di Otranto, alla fine di maggio dell’anno 2021, la Scuola Lorenzo Milani di Potenza riceve un carico incredibile di libri, scelti, uno ad uno, dal libraio Giuseppe Conoci della Casa Editrice Anima Mundi.

Ognuno dei 47 navigatori di futuro riceve un libro speciale, dalle pagine bianche. Arrivano i libri futuri, con le copertine speciali, segnate dalla poesia. Così, i libri già scritti e compiuti non rimarranno soli: molti altri cresceranno accanto, perchè bambine e bambini esercitino il Diritto di Sognare, scrivendo e leggendo, per alimentare i propri immaginari.

C’è ancora tanto da fare e da scrivere. Ci sono ancora molte, moltissime pagine bianche da colmare. I libri vuoti di oggi saranno i luoghi della cura di domani, da portare a casa e da riempire, fino al 2035.

Viva i libri, viva la poesia. Esisterà nella vita di ogni giorno.

Buona navigazione bambini!

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Di questa fantastica storia sono autori: i 47 bambine e bambine della Scuola Lorenzo Milani di Potenza Quarto, i genitori e gli insegnanti che hanno partecipato all’intero percorso laboratoriale di co-costruzione della storia.

Il Team ha arato i campi della Fantastica.

La cucitura della storia è di Carmen Ines Tarantino.

La raccolta generativa e l’ideazione degli elementi della storia sono di tutti.