La pesca delle parole
Claudia Fabris, Nostra Signora dei Palloncini: Io per questo sono arrivata qui dal mare. Me lo hanno detto che qui ci sono bambini, adulti, persone in giro, che stanno facendo questa cosa con le parole. Cominciano a cercarle per scoprire mappe, direzioni. Per avere qualche piccola lucciola, qualche piccola illuminazione, qualche piccola rivelazione.
Mi hanno parlato di voi finché ero in mare. Mi hanno detto che lavorate tanto con le parole in un modo simile al mio. Io vado in giro per le città. Senza dirlo a nessuno, ogni tanto appaio, con i capelli legati con dei palloncini e solo a chi mi parla faccio pescare una parola a caso da questa borsa che ho sempre con me. Ci sono arrotolate le parole che metto da tanti anni sotto sale.
Come fate voi
Ho sentito Lidia che diceva: Aprite un libro e guardatelo, come se foste un falco, dall’alto. È la stessa cosa che ho fatto io quando ho visto la parola cercare. L’ho ascoltata. Dentro la parola cercare c’è il cerchio. Immaginate di andare in cerchio. Se io vado in cerchio, vuol dire che il centro del cerchio ce l’ho già, anche se non lo so. Quando sto cercando, in verità, io l’ho già trovata la cosa che voglio. Non lo so, ma l’ho già trovata, perchè chi cerca, trova. A volte le persone con me ascoltano in cuffia poesie e parole sotto sale che servo loro, perchè porto in giro per l’Italia un ristorante di poesie, suoni e parole sotto sale. A volte sono la Cameriera di Poesia, a volte Nostra Signora dei Palloncini.
La notizia
So che avete scoperto una parola speciale nel vostro viaggio. Siete partiti da dei fagioli, dei fagioli verdi confitti in un manuale di cucina dell’800 che avete trovato fra migliaia di libri. La notizia è arrivata fin qui, in fondo al mare. Da un’isola lontana me lo hanno detto: c’è qualcuno che ha il tuo stesso modo di guardare.
Come disegni
Ho iniziato a fare questo viaggio che sto facendo, quando ho cominciato a guardare le parole come se fossero disegni. Ho smesso di pensarle per il senso che mi avevano insegnato e ho cominciato a guardarle. In un film di John McTiernan, Il tredicesimo guerriero c’era un personaggio di una tribù che diceva a un uomo bianco: Sai anche disegnare i suoni? Disegnare i suoni? Sì, so disegnare i suoni. E li so anche riportare alla vita. Ho capito che si riferiva alla scrittura. Quella cosa mi si è piantata nella testa.
È proprio la vostra storia
Ho cominciato ad appassionarmi alle parole degli alfabeti antichi. Voi invece avete viaggiato fra due biblioteche, fra il passato e il futuro. Avete trovato parole che vi rimandate, facendo questa specie di tessitura, di trama, di mappa, tra quello che c’è qui e quello che c’è lì. E alla fine vi accorgete che questa storia è proprio la vostra storia. C’entra proprio con voi, con tutte le cose che si incastrano: è presente in verità. Con questa scoperta che si fa un po’ alla volta guardando le parole ci possiamo chiedere se sul serio esistono il passato e il futuro. Tutto quello che ci arriva è sempre qui ed è sempre presente.
Ti faccio un presente
Il presente è un regalo. Quando ti voglio fare un regalo, io non ti faccio un passato, non ti faccio un futuro. Ti faccio un presente. Questo è bellissimo. Anche in inglese si dice così. La cosa che sto scoprendo in tutti questi anni, che che mi appassiona in un modo che non vi so dire, è che le parole sono proprio come degli scrigni dello spazio tempo, come delle scatole. Voi vi siete rimandati le parole da un tempo ad un altro: è quello che fanno le parole. Nelle parole ci sono dei suoni antichi, suoni che erano presenti tempo fa. E ci sono tanti significati.
φ Ago
Dentro una parola, che vivande da un piccolissimo atollo corallino sperduto nel Pacifico, c’è Fago, che mette insieme la compassione, la tristezza e l’amore. Pensate: la parola sta cominciando a tramare una storia e a scrivere una mappa, che è nello spazio, perchè sta unendo noi, i nostri fagioli italiani con l’atollo delle Isole Caroline. Ma poi lo fa anche con il tempo, perchè c’è una parola greca nascosta nel batterio Fago, φαγειν, che significa mangiare. Guardate questa parola, che ha dentro l’ago che punge, ha dentro l’amore, il mangiare, il farsi corpo. Fago si scrive così. Con φ, la ventunesima lettera greca. Fatelo voi il suono, fatelo nella vostra bocca: è proprio il suono della finestra, c’è qualcosa che passa attraverso i denti per farlo. Stringi ed esce, è una fessura. E se pensate a molte parole, la fessura, la finestra, la ferita, avete un cerchio che viene tagliato a metà da una linea verticale ed è come se ti dicesse che c’è questa cosa intera attraverso cui si può guardare. Quella linea immaginatela come una specie di tenda, una fessura che si può aprire.
φ una lettera fondamentale
Ago in latino significa agire, φαγειν in greco vuol dire mangiare, far passare attraverso una fessura, agire quella fessura. Noi siamo pieni di fessure nel nostro corpo, da cui l’esterno entra. La φ è la lettera con cui inizia la fiducia, attraverso cui tu fai passare le cose dentro. È una lettera bellissima. In Greco, la luce inizia con la φ, perchè è φῶς ed è anche la voce umana, che è φωνή.
Si vede proprio
Se io guardo veramente Fago come un disegno, vedo un ago. E qualcuno dei bambini l’ha segnalata questa cosa. Guardate cosa succede se io guardo veramente la lettera… C’è un cerchio con questa linea. Li posso separare e mettere il cerchio sopra la linea e insieme diventano un ago: si vede proprio. Faccio tutte le prove con tante parole e sto cominciando a pensare che quelle è come se raccontassero la prima lettera, perchè ci raccontano tutte le possibilità che possono esserci nella prima lettera. L’ago punge, ma serve anche per cucire, per rilegare, per congiungere, per unire due parti, fare di due uno. E per farlo ha bisogno di un filo che passi nella cruna dell’ago. Filo in greco è φίλος, ha lo stesso suono e vuol dire amore. In questo Fago c’è dentro di tutto, soprattutto c’è il significato che avete trovato, di quella lingua dell’isola del Pacifico. E io l’ho guardata la parola.Il fatto che fosse un commuovere, una commozione, l’ho scoperto guardano la parola, senza che nessuno mi dicesse cosa volesse dire, perché c’è scritto, c’è tutta la storia. Le parole sono le nostre mappe.